Una delle problematiche che si potrebbe porre in queste settimane, dove l’Italia è costretta a far fronte alla emergenza pandemica legata al COVID-19, è quella del rientro in servizio di dipendenti che hanno fruito di un periodo di malattia (non per il coronavirus ma per altre ragioni).
Orbene, in assenza di una specifica disposizione sul tema, considerando i principi generali che risultano espressi delle disposizioni emergenziali (vari DPCM tra cui i DPCM 8 marzo 2020 e 9 marzo 2020) e le disposizioni di cui al protocollo di intesa approvato dal Governo e dalle parti sociali in data 14 marzo 2020, si potrebbe desumere che si potrebbe procedere in questo modo:
- si potrebbe chiedere al lavoratore, su base volontaria, di presentare un certificato medico che attesti la semplice idoneità allo svolgimento dell’attività e l’assenza di fattori di rischio di contagio (a tal proposito, l’art. 12 del Protocollo di intesa prevede, al secondo capoverso, che “vanno privilegiate, in questo periodo, le visite a richiesta e le visite da rientro della malattia” proprio al fine di determinare un controllo sull’idoneità del lavoratore al rientro in servizio evitando il rischio di contagio). In questo caso dovrà, probabilmente, essere predisposta una apposita comunicazione per la privacy;
- in alternativa, si potrebbe chiedere al lavoratore una autocertificazione con la quale, attenendosi, strettamente, alla normativa emergenziale che, potrebbe giustificare la richiesta, si chiede allo stesso lavoratore di dichiarare, assumendosene la responsabilità (che sarebbe anche penalmente rilevante), che non vi sono fattori di rischio che ne possano condizionare il rientro in servizio (facendo gli esempi di tali fattori, quali ad es. la febbre, l’assenza di contatti con persone che hanno contratto il contagio, ecc.). L’autocertificazione non può riguardare ovviamente le ragioni della malattia (che sono coperte da privacy) ma solo, appunto, come detto, l’assenza di fattori di rischio al rientro. A tal proposito, si potrebbe predisporre un modello di autocertificazione (in due versioni di cui una anche per la quarantena) e, anche in questo caso, una comunicazione per la privacy;
In caso di mancata presentazione di tali documenti il lavoratore, sulla base della normativa vigente, può essere invitato a non rientrare in servizio ed a giustificare la sua assenza dal servizio (a questo punto con altro periodo di malattia o ferie).
Peraltro, tali richieste (sia l’autocertificazione che la certificazione medica) rientrano negli strumenti che il datore può utilizzare in via eccezionale sulla base delle disposizioni di cui al protocollo di intesa (firmato dal Governo e dalle parti sociali e che disciplina proprio le modalità “sicure” di svolgimento del rapporto) e che privilegia in vari punti i controlli del datore sullo stato di salute del lavoratore e sull’esistenza di fattori di rischio (cfr. punti 1, 2 e 12, già citato, di tale protocollo).
Inoltre, rispetto alla disciplina ordinaria, bisogna tenere presente che quella di cui si discute è una norma emergenziale, di durata temporanea, dettata in un momento in cui il pericolo che si vuole scongiurare è quello del rischio di contagio sui luoghi di lavoro (che determinerebbe un problema sia per la salute pubblica e sia per l’attività produttiva che il governo intende, comunque, salvaguardare) e, pertanto, tutti devono cooperare a tale scopo, compresi i lavoratori (e il datore può impedire al lavoratore che non si adegui di accedere sui luoghi di lavoro per la tutela della salute degli altri lavoratori).
Il nostro studio è disponibile a fornire una prima consulenza gratuita sulle disposizioni di cui si è detto e a fornire tutto il necessario supporto per valutare, rispetto alle esigenze specifiche, le modalità migliori per garantire un adeguato controllo sui luoghi di lavoro (nel rispetto della normativa vigente).