Sospensione dei termini processuali e operatività rispetto alla materia lavoristica e ai licenziamenti

Sospensione dei termini processuali e operatività rispetto alla materia lavoristica e ai licenziamenti

Il Decreto Legge n. 18/2020 (c.d. Decreto ‘Cura Italia’), come ormai noto, nel predisporre misure urgenti per far fronte all’emergenza epidemiologica causata dalla diffusione del Covid-19 e contenerne gli effetti, è intervenuto anche sul settore giustizia, prevedendo all’art. 83, co. 1 e 2, per il periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, il rinvio d’ufficio di tutte le udienze relative ai procedimenti civili e penali e la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali.

Da ultimo, ad opera del recentissimo D.L. n. 23/2020, pubblicato in data 8 aprile 2020 e in vigore dalla data del 9 aprile 2020, è stata disposta la proroga di tali misure fino alla nuova data dell’11 maggio 2020.

In particolare, l’art. 36, co. 1, del D.L. n. 23/2020 ha esteso fino alla suddetta data, il rinvio d’ufficio delle udienze relative ai procedimenti civili e penali e la sospensione dei termini processuali dei procedimenti civili e penali di cui all’art. 83, co. 1 e 2, del precedente D.L. n. 18/2020.

sospensione dei termini processuali

In sostanza, dunque, il rinvio delle udienze e la sospensione dei termini processuali, originariamente disposti fino alla data del 15 aprile 2020, sono stati prorogati fino alla data dell’11 maggio 2020, con la precisazione che i termini iniziali decorreranno dal 12 maggio 2020.

Così delineato l’attuale quadro normativo, nel presente articolo, si analizzerà l’operatività della sospensione dei termini processuali rispetto alla materia lavoristica e, in particolare, rispetto ai licenziamenti.

Il primo dubbio da sciogliere, nell’ambito di tale indagine, è se la sospensione dei termini processuali possa intendersi estesa anche alla materia del lavoro.

La risposta a tale quesito la si ricava da un esame del comma 3, lett. a), b) e c) dell’art. 83 cit., nel quale sono indicati espressamente i casi per i quali non opera la sospensione dei termini procedurali (e il rinvio d’ufficio delle udienze), che sono:

a) cause di competenza del tribunale per i minorenni relative alle dichiarazioni di adottabilità, ai minori stranieri non accompagnati, ai minori allontanati dalla famiglia ed alle situazioni di grave pregiudizio;

cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità;

procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona; procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di tutela, di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione nei soli casi in cui viene dedotta una motivata situazione di indifferibilità incompatibile anche con l’adozione di provvedimenti provvisori e sempre che l’esame diretto della persona del beneficiario, dell’interdicendo e dell’inabilitando non risulti incompatibile con le sue condizioni di età e salute;

procedimenti di cui all’articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Procedimento relativo agli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza ospedaliera per malattia mentale e tutela giurisdizionale);

procedimenti di cui all’articolo 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Procedure relative alla richiesta di interruzione della gravidanza);

procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari;

procedimenti di convalida dell’espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini di paesi terzi e dell’Unione europea;

procedimenti di cui agli articoli 283, 351 e 373 del codice di procedura civile (rispettivamente, provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello, provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, sospensione dell’esecuzione);

tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti, nel qual caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile;

convalida arresto e misure dententive

b) procedimenti di convalida dell’arresto o del fermo, procedimenti nei quali nel periodo di sospensione sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive e, quando i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente richiedono che si proceda, altresì i seguenti:

1) procedimenti a carico di persone detenute, salvo i casi di sospensione cautelativa delle misure alternative, ai sensi dell’articolo 51-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354;

2) procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza;

3) procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di prevenzione.

c) procedimenti che presentano carattere di urgenza, per la necessità di assumere prove indifferibili, nei casi di cui all’articolo 392 del codice di procedura penale. La dichiarazione di urgenza è fatta dal giudice o dal presidente del collegio, su richiesta di parte, con provvedimento motivato e non impugnabile.

Da tale disamina dei casi rispetto ai quali non opera la sospensione dei termini processuali, non può che concludersi, pacificamente, che la materia lavoro debba intendersi investita dalla disposta sospensione straordinaria dei termini processuali (che – come anticipato in apertura – è stata estesa alla data dell’11 maggio 2020).

Invero, dal momento che – come visto – nell’elenco dei casi esclusi non si fa alcun accenno alla materia lavoristica, il primo quesito posto, riguardante la operatività della sospensione dei termini processuali nella materia lavoristica, deve essere, senz’altro, risolto in senso positivo.

licenziamenti di lavoro collettivi

A questo punto, il problema potrebbe comunque porsi rispetto al peculiare ambito dell’impugnativa dei licenziamenti, caratterizzata da un termine di decadenza stragiudiziale e da un termine di decadenza giudiziale.

È da qui che, appunto, sorge il secondo quesito cui il presente articolo si ripropone di dare risposta, ossia se la sospensione del decorso dei termini operi anche per la impugnativa del provvedimento di licenziamento.

Nell’ambito di tale indagine, bisogna innanzitutto partire da quanto espressamente previsto dal comma 2 dell’art. 83 cit., il quale va a specificare quali termini processuali debbano intendersi sospesi, individuandoli nel modo seguente:

    • i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari;
    • i termini per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione;
    • i termini per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi;
    • i termini per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali.

Tale elenco, nel quale vengono espressamente ricompresi anche i termini per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e, in genere, tutti i termini procedurali, può indurci ad affermare, ragionevolmente, che il termine per la impugnativa giudiziale del licenziamento e, dunque, per la proposizione dell’azione giudiziale con la quale si ricorre al giudice del lavoro per impugnare il provvedimento espulsivo debba intendersi ricompreso nella sospensione straordinaria di cui all’art. 83, D.L. n. 18/2020.

Discorso diverso, invece, va fatto per la impugnativa stragiudiziale del licenziamento, il cui termine non può essere inteso come termine processuale.

E, a tal proposito, è bene precisare che, sebbene la rubrica dell’art. 46 D.L. n. 18/2020 (non inciso dal recente D.L. 23/2020), “Sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti”, per come formulata, si presti ad ingenerare confusione, dall’analisi del contenuto dello stesso, si capisce che, in realtà, esso non sospende la impugnazione dei licenziamenti, bensì preclude per 60 giorni l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo di cui  agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (e la sospensione, per il medesimo termine, di quelle già pendenti alla data del 23 febbraio) e la intimazione del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604, mentre non preclude la intimazione del licenziamento disciplinare.

Dunque, in altre parole, al di là delle apparenze, tale disposizione non pone un blocco dei termini di impugnazione dei licenziamenti, bensì un blocco alla irrogazione dei licenziamenti, peraltro soltanto di quelli giustificati da motivi oggettivi.

termini di licenziamento

Pertanto, non potendosi considerare il termine di impugnativa stragiudiziale del licenziamento come termine processuale, allo stato, è prudente operare la impugnazione stragiudiziale nei termini di legge (60 giorni dalla ricezione del provvedimento espulsivo).

Al contrario, l’ulteriore termine di decadenza dall’azione giudiziale, avendo natura processuale ed essendo volto alla instaurazione di un giudizio, appare ricompreso nella sospensione di cui all’art. 83, co. 2, cit.

Pertanto, in conclusione, è consigliabile impugnare in via stragiudiziale il licenziamento nel rispetto del termine di legge (di 60 gg dalla ricezione del provvedimento espulsivo); mentre, il successivo termine (di 180 giorni dalla spedizione dell’impugnativa stragiudiziale) per la proposizione dell’impugnativa giudiziale, alla luce di quanto sinora esposto e in virtù del dato letterale dell’art. 83 cit., può ragionevolmente intendersi investito dalla sospensione.

ciao

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *