Storno di dipendenti e concorrenza sleale in materia societaria

Le società, per definizione, sono delle organizzazioni di persone e di beni finalizzate al perseguimento di uno scopo produttivo mediante l’esercizio in comune di un’attività economica.

L’articolo 2247 c.c. recita: “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.

Nello specifico, l’organizzazione, rientra tra i requisiti fondamentali dell’attività imprenditoriale, e prevede, da un lato, la possibilità di dirigere l’attività di impresa, esercitando il potere gerarchico sui collaboratori subordinati (art. 2086 c.c.) e, dall’altro, l’obbligo di tutelare le condizioni di lavoro dei dipendenti, adottando tutte le misure atte a proteggerne l’integrità fisica e la personalità morale (art. 2087 c.c.).

In un mercato sempre più competitivo e concorrenziale, la capacità delle imprese di essere produttive nella competizione internazionale dipende, in modo sempre più evidente, dalla loro capacità di innovare i propri processi organizzativi e produttivi.

Tale processo di organizzazione ed innovazione avviene sempre più spesso e anche attraverso la professionalità e la qualifica dei propri collaboratori e/o dipendenti.

È evidente, infatti, che lo sviluppo e l’innovazione della società dipende in misura sempre maggiore dalle abilità, conoscenze e competenze che sono fatte valere dai lavoratori nell’esecuzione del contratto di lavoro.

Pertanto, nell’attuale mercato fortemente competitivo, sempre più società decidono di investire risorse per la formazione del personale, in modo da avere dipendenti la cui professionalità e competitività è sempre più accentuata.

In tale contesto, come confermano diverse decisioni giurisprudenziali, non è affatto casuale che emergano in misura costantemente crescente questioni riconducibili alla figura dello storno di personale.

Lo storno di personale come atto di concorrenza sleale.

Viene definito storno di dipendenti l’iniziativa mediante la quale un imprenditore (detto “stornante”) tende ad assicurarsi le prestazioni lavorative (normalmente di natura professionale qualificata) di uno o più dipendenti di un’impresa concorrente (c.d. “stornata”). 

In tema di storno di personale, vengono prima di tutto in rilievo norme di rango costituzionale, come, ad esempio, l’art. 41 Cost. in tema di libertà di iniziativa economica, che costituisce fondamento del regime concorrenziale e libero che contraddistingue il nostro sistema economico.

Per tali motivi, è necessario comprendere ed individuare la linea di confine tra acquisizione lecita di dipendenti di altra impresa, e lo storno di dipendenti considerato illecito nel nostro ordinamento.  

Ed invero, è ben possibile che tale comportamento determini un vero e proprio danno qualora i dipendenti “sottratti” risultino strategici e, come tali, portatori di know how o di preziose informazioni aziendali.

Tale acquisizione di personale, quindi, potrebbe sfociare in un’ipotesi di concorrenza sleale, ricompresa da dottrina e giurisprudenza nell’ambito di applicazione dell’art. 2598 c.c., ed in particolare, dal suo n. 3, nell’ipotesi in cui lo storno di dipendenti sia attuato con la volontà di danneggiare il concorrente.

Come è noto, questo articolo del codice tratta degli atti di concorrenza sleale e, fra l’altro, con una formulazione aperta annovera fra questi ogni atto “non conforme ai principi della correttezza professionale idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

Si tratta, in sostanza di una categoria aperta a carattere generico, proprio per fare in modo che, di volta in volta, sia possibile verificare se effettivamente lo storno del personale possa rientrare nell’alveo della concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c.

L’elaborazione giurisprudenziale relativamente allo storno di personale

L’individuazione degli elementi che rendono l’assunzione di lavoratori altrui un illecito concorrenziale non è stata compiuta direttamente dal legislatore, ma è stata rimessa negli anni all’attività della dottrina e della giurisprudenza.

In giurisprudenza, si sono formulati nel tempo diversi orientamenti in merito al tema dello storno illecito di dipendenti, individuati, in termini generali, nella contrarietà ai principi della correttezza professionale e nella idoneità della condotta della impresa stornate a danneggiare l’altrui azienda.

Tuttavia, una evidente evoluzione si è registrata nel modo di intendere il profilo soggettivo, ed in particolare con riferimento al profilo del c.d. animus nocendi. (orientamento “finalistico – oggettivo”).

Secondo tale orientamento, l’animus nocendi viene a configurare una sorta di “strumento rilevatore” dell’obiettiva difformità del comportamento imprenditoriale rispetto ai principi della correttezza professionale. Lo storno di dipendenti assurge, quindi, ad atto di concorrenza sleale, in quanto sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare, alla luce dei principi della correttezza professionale, se non presupponendo nell’autore l’intenzione di danneggiare l’altrui impresa.

La Suprema Corte di Cassazione ha infatti evidenziato che “lo storno dei dipendenti da parte di un’azienda realizza un atto di concorrenza sleale allorchè sia perseguito il risultato di un vantaggio competitivo in danno dell’altra impresa tramite una strategia diretta ad acquisire uno staff costituito da soggetti pratici del medesimo sistema di lavoro entro una zona determinata, svuotando l’organizzazione concorrente di sue specifiche possibilità operative mediante sottrazione del modus operandi dei propri dipendenti, delle conoscenze burocratiche e di mercato da essi acquisite, nonché dell’immagine in sé di operatori di un certo settore.

Ne consegue che, al fine di individuare tale animus nocendi, consistente nella descritta volontà di appropriarsi, attraverso un gruppo di dipendenti, del metodo di lavoro e dell’ambito operativo dell’impresa concorrente, nessun rilievo assume l’attività di convincimento svolta dalla parte stornante per indurre alla trasmigrazione il personale di quella “. (Cass. Sez. I, n. 20228 del 2013).

I giudici di legittimità, nella suindicata decisione, hanno quindi confermato il principio secondo il quale il passaggio di lavoratori da una impresa ad un’altra concorrente è attività in quanto tale legittima, mentre non lo è quella di crearsi un vantaggio competitivo a danno di altra impresa, alterando significativamente la correttezza della competizione.

Principi analoghi son stati individuati anche dal Consiglio di Stato, dove in un caso in cui si discuteva di concorrenza sleale, ha posto in rilievo i seguenti principi: “La concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori (cosiddetto storno di dipendenti) da un’impresa ad un’altra concorrente, né dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente, attività legittime come espressione dei principi della libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica. Lo storno dei dipendenti deve ritenersi vietato come atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c., allorché sia attuato non solo con la consapevolezza nell’agente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altrui impresa, ma altresì con la precisa intenzione di conseguire tale risultato (“animus nocendi”), la quale va ritenuta sussistente ogni volta che, in base agli accertamenti compiuti dal giudice del merito ed insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati, lo storno dei dipendenti sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di danneggiare l’organizzazione e la struttura produttiva dell’imprenditore concorrente”. (Cons. Stato Sez. V, 07/01/2021, n. 224)

Il comportamento vietato in discussione, dunque, è integrato quando lo storno avvenga con modalità direttamente volte ad impedire al concorrente di continuare a competere, e ciò per avergli sottratto, assieme ai dipendenti, quelle nozioni tecniche e competenze professionali che le rendono attuabili (e ciò a prescindere dall’eventuale successiva presenza sul mercato di prodotti ottenuti sfruttando tali notizie – cfr. Cass. 20.01.2014, n. 1100), in modo che il soggetto agente possa evitarsi i costi di investimento nella ricerca e formazione del personale, alterando così, significativamente, la correttezza della competizione tra imprese.

Posto che è estremamente labile il confine tra liceità ed illiceità di siffatto comportamento, la giurisprudenza ha delineato alcuni indici per comprendere quando tale condotta dia luogo ad un atto di concorrenza sleale, tra cui:

  1. che l’iniziativa del nuovo rapporto lavorativo sia riferibile alla ditta concorrente, agendo mediante l’offerta di un migliore trattamento economico o di altri vantaggi (in questo senso : Cassazione civile, sez. I, 22 luglio 2004, n.13658;
  2. il numero di dipendenti stornati;
  3. la loro competenza professionale;
  4. il ruolo che essi rivestivano nell’impresa stornata;
  5. la concentrazione temporale degli atti di storno;
  6. la preordinazione di tale attività alla sottrazione di informazioni aziendali altrui delle quali la stornante intende impadronirsi;
  7. la volontà di disgregare o indebolire, attraverso lo storno, l’altrui impresa, ovvero nell’avvalersi in modo parassitario degli investimenti formativi realizzati dall’impresa stornata sui dipendenti stornati (Tribunale Torino 28 dicembre 2004);
  8. “non può negarsi che, l’evoluzione professionale del lavoratore, la quale dipenda da conoscenze acquisite nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, possa, in quanto divenuta ormai parte comunque della personalità del medesimo, essere da lui legittimamente portata a supporto di sue migliori possibilità professionali nella vita di relazione” – “va precisato, con riguardo a quest’ultima ipotesi, che non può considerarsi illecita l’utilizzazione del valore aziendale esclusivamente costituito dalle capacità professionali dello stesso ex dipendente, non distinguibili dalla sua persona” (in questo senso Cass. 2002/14479);
  9. “l’eventuale contatto dei clienti della società ricorrente (in assenza di prove di acquisizione illecita di tabulati) non costituisce di per sé meccanismo di concorrenza parassitaria ma, al contrario, libero esercizio della concorrenza in un fisiologico rapporto di competizione concorrenziale.”;
  10. Per quanto riguarda l’eventuale vendita sottocosto, parte istante deve fornire la prova  che il resistente pratichi prezzi inferiori ai sui costi, e non “al prezzo al quale il medesimo prodotto è stato acquistato dal soggetto autore della presunta vendita sottocosto” (Cassazione civile, sez. I, 16 novembre 2000, n. 14844).

Ebbene, tali indici sintomatici, ben potrebbero dimostrare come l’attività posta in essere dall’impresa stornante sia da qualificare come attività di concorrenza sleale, con tutte le conseguenze che possono derivarne da un punto di vista risarcitorio a favore dell’impresa stornata.

Fra l’altro, la Suprema Corte, non esclude che possa ravvisarsi un’ipotesi di concorrenza illecita anche nell’ipotesi in cui i contatti siano avviati direttamente dal dipendente e non dall’impresa concorrente.

Difatti, i giudici di legittimità, in un procedimento relativo allo storno di alcuni dipendenti hanno precisato che: “la configurabilità dello storno non è preclusa dal fatto che contatti per passare alle dipendenze dell’impresa concorrente o per iniziare con questa un rapporto collaborativo siano avviati per iniziativa degli stessi dipendenti o agenti successivamente stornati, sempre che su tale iniziativa venga poi ad inserirsi l’attività dell’impresa concorrente sì da incidere causalmente (tramite, ad esempio, l’offerta di un miglior trattamento economico o di altri vantaggi) sulla decisione dei primi di interrompere il rapporto di lavoro con l’impresa cui si trovano inseriti (Cass. n. 13658/04).

Ed invero, in premessa, è stato specificato che l’imprenditore assume una serie di obblighi nei confronti dei suoi dipendenti, ma parallelamente, anche il dipendente, con l’assunzione, è sottoposto ad una serie di doveri nei confronti del suo datore di lavoro (obbligo di fedeltà, divieto di concorrenza, obbligo di riservatezza ecc.).

In concreto, dunque, la disciplina dello storno di dipendenti incide non solo sulla posizione degli imprenditori concorrenti, ma anche su quella dei loro dipendenti e collaboratori.

Tuttavia, sulla base degli orientamenti evidenziati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, è necessario adoperare di volta in volta una certa prudenza nel considerare l’acquisizione di dipendenti altrui come illecito concorrenziale.

È infatti necessario contemperare l’interesse dell’imprenditore all’integrità della propria azienda ed alla riservatezza delle conoscenze specifiche acquisite dall’impresa, con quello del lavoratore allo sfruttamento della propria professionalità ed alla libertà di migliorare la propria posizione lavorativa, anche mediante l’utilizzo delle nozioni e competenze maturate in conseguenza del lavoro svolto.

Pertanto, in un eventuale giudizio, sarà necessario dimostrare le modalità concretamente utilizzate dall’impresa concorrente per acquisire il dipendente dell’impresa “stornata”, nonché la particolare qualifica del dipendente stesso che ben potrebbe incidere ai fini della valutazione della presenza o meno di un atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c.

ciao

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *