Soluzioni concrete al problema della occupazione femminile

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Approvata all’unanimità dalla IX Commissione lavoro e pari opportunità la proposta di legge della Regione Lazio n. 182/2019 in tema di parità retributiva, sostegno all’occupazione stabile e all’imprenditoria femminile di qualità, nonché valorizzazione delle competenze delle donne.

Una problematica tristemente nota all’interno del mondo del lavoro attiene all’occupazione femminile che, oltre ad essere, ancora oggi, limitata ad una parte contenuta della popolazione femminile, il più delle volte, è connotata dall’assoggettamento a condizioni lavorative e retributive ben diverse e deteriori rispetto a quelle riconosciute ai lavoratori di sesso maschile.

Tale annoso problema, che affonda le sue radici in retaggi culturali che attribuiscono alla donna il tipico ruolo di custode del focolare domestico e di addetta alla cura della famiglia, e che faticano ad accettare che la donna possa avere una propria dimensione lavorativa pienamente assimilabile a quella dell’uomo, è ancora oggi tristemente attuale.

Invero, il gap occupazionale e salariale che emerge da un raffronto tra il lavoro maschile e quello femminile all’interno del nostro Paese è ancora molto forte ed evidente: basti pensare che, come emerso da un recente studio dell’Eurostat, le donne italiane, nelle aziende private, percepiscono all’incirca il 20,7 % in meno rispetto ai colleghi uomini, e tale disparità di trattamento si manifesta in modo ancora più palese per le libere professioniste che, addirittura, guadagnano fino a quasi la metà degli omologhi professionisti di sesso maschile.

Del resto, un’ulteriore lampante conferma del divario tra la condizione lavorativa delle donne e quella degli uomini la si ricava analizzando gli effetti che ha avuto la diffusione epidemiologica da Covid-19 sulla situazione occupazionale in Italia: invero, da recenti studi, è emerso che dei 101.000 posti di lavoro persi a causa della pandemia ben 99.000 fossero ricoperti da donne.

Di fronte a dati così allarmanti e ad una realtà così cruda e, allo stesso tempo, purtroppo, ancora così trascurata, non può che accogliersi favorevolmente la proposta di legge regionale n. 182/2019, di iniziativa della Consigliera regionale Eleonora Mattia, approvata lo scorso 22 marzo in IX Commissione lavoro e parti opportunità del Lazio.

Con tale intervento legislativo, la Regione Lazio dimostra di volere affrontare concretamente il problema dell’occupazione femminile e si attiva per fare in modo che siano assicurate effettivamente migliori condizioni lavorative per le donne.

Il testo in questione – che consta di sei Capi e di 22 articoli – invero, è una legge quadro sul lavoro femminile, che individua misure concrete per la effettiva attuazione della parità occupazionale e retributiva tra i due sessi.

In particolare, i Capi II, III, IV e V – rubricati, rispettivamente “Strumenti per l’attuazione della parità retributiva tra i sessi”, “Strumenti per il sostegno alla sfera lavorativa delle donne” e “Strumenti per la valorizzazione delle competenze delle donne”, “Strumenti per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”– offrono molteplici soluzioni pratiche per attuare la parità retributiva e l’inserimento e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro, tramite politiche attive, formazione per le nuove competenze ed incentivi economici alle imprese che assumono donne a tempo indeterminato, escluso il lavoro domestico.

Tra gli strumenti individuati, in via esemplificativa, si richiamano:

– la previsione della istituzione di un registro delle Piccole e Medie Imprese (PMI) virtuose, ossia di quelle imprese che applicano la parità salariale tra i lavoratori di sesso diverso, e la cui iscrizione costituirà titolo preferenziale per l’accesso agli appalti pubblici di competenza della Regione o degli enti dipendenti o controllati da quest’ultima (art. 3);

– la previsione della revoca dei benefici alle aziende condannate nell’ambito di giudizi aventi ad oggetto le dimissioni ovvero il licenziamento, dichiarati illegittimi in quanto posti in essere in violazione della normativa vigente in materia di tutela della maternità, favorendo la stipulazione di protocolli di intesa con gli Uffici giudiziari del Lazio, i servizi ispettivi regionali e le organizzazioni sindacali per il monitoraggio e la raccolta di dati riferiti a dette fattispecie (art. 6);

– la previsione di benefici economici e sgravi IRAP alle aziende che assumono donne con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, che assumono donne vittime di violenza o donne disabili (artt. 7, 9 e 10), alle quali è riservato anche un apposito Fondo regionale di sostegno (art. 12);

– la previsione volta a favorire la parità di genere anche nell’ambito dell’organizzazione, del reclutamento e della gestione del personale regionale (art. 13);

– la previsione volta a fare in modo che gli Statuti degli enti e delle società regionali prevedano l’equilibrio tra i generi negli organi di amministrazione e di controllo e stabiliscano che il genere meno rappresentato debba ottenere almeno un terzo dei posti riservati agli amministratori che compongono il consiglio, riservando altresì la metà delle cariche societarie di nomina regionale a persone di genere femminile (art. 15);

– il riconoscimento di buoni e voucher per il pagamento del servizio di “baby sitting” e per la figura del “caregiver” (art. 17).

Orbene, da tale disamina di alcune delle principali misure predisposte dalla Regione Lazio per garantire migliori condizioni lavorative per le donne, è possibile ricavare dei principi ed un modello, generale che potrebbe fare da apripista anche alle altre Regioni e che sfruttando gli spazi messi a disposizione dalla normativa nazionale, fornirebbe delle risposte importanti non solo alla problematica della condizione subalterna in cui versano le lavoratrici di sesso femminile ma anche ad altri problemi sociali (quali ad es. quello tanto dibattuto della drastica diminuzione delle nascite che subisce, inevitabilmente, anche gli effetti della condizione femminile nel mondo del lavoro).

Invero, solo tramite interventi legislativi mirati, e che (magari) tengano anche conto del contesto territoriale di riferimento, è possibile far sì che i principi Costituzionali della uguaglianza dei cittadini senza distinzione di sesso (art. 3), della parità retributiva, a parità di lavoro, tra lavoratrice donna e lavoratore uomo (art. 37), nonché della parità di accesso per i cittadini dell’uno o dell’altro sesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza (art. 51) non restino meri principi formali ma vengano attuati concretamente, in modo da proseguire quel processo di effettiva parificazione della donna all’uomo che, ad oggi, nonostante i passi fatti in avanti, non può dirsi ancora giunto a compimento.

L’auspicio è che un giorno non ci sia bisogno di una legge o di un intervento legislativo al fine di determinare la parità tra uomo e donna ma ci si basi esclusivamente su di un principio meritocratico. 

Articolo a cura di Avv. Luciani Federica

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